Lo stesso argomento trattato in video dal dottor Niccolò Maria Sposimo

Hai bisogno di una perizia medico legale? Clicca qui sotto, accedi al nostro sito e compila il form. Ti ricontatteremo immediatamente!

In ambito di responsabilità professionale sanitaria l’accertamento del nesso di causalità segue il ricorso a modelli probabilistici o di credibilità logica.

Questo orientamento, oramai affermato in ambito civilistico, si ritrova infatti da molto tempo in Giurisprudenza, come recita un estratto di una sentenza della Corte di Cassazione risalente al 2000: “La ricorrenza del suddetto rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie qualora manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti[1].

Ancor più dirimente è una ulteriore sentenza, dell’aprile 2005, ove risulta statuito che “Il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia generato, o anche soltanto contribuito a generare tale, obiettiva relazione col fatto, deve considerarsi «causa» dell’evento stesso[2].

Su questo stesso piano è utile citare una più recente sentenza della Cassazione[3] che nell’ottobre del 2017 ha autorevolmente statuito: “in caso di prestazione professionale medico-chirurgica di routine, spetta al professionista superare la presunzione che le complicanze siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale o da imperizia, dimostrando che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento”. Ne consegue che il giudice, al fine di escludere la responsabilità del medico nella suddetta ipotesi, non può limitarsi a rilevare l’accertata insorgenza di complicanze intraoperatorie, ma deve, altresì, verificare la loro eventuale imprevedibilità ed inevitabilità, nonché l’insussistenza del nesso causale tra la tecnica operatoria prescelta e l’insorgenza delle predette complicanze”.

Tale orientamento discende da ampia ed oramai consolidata giurisprudenza[4] [5] [6].

Sul tema è senz’altro importante quanto scritto nella sentenza della Cassazione del 30 giugno del 2015, ove il concetto di complicanza è ritenuto “inutile nel campo giuridico. Quando infatti nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle due l’una:

  • o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”;
  • ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile: ed in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’art. 1218 c.c. a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”.

Al diritto non interessa se l’evento dannoso non voluto dal medico rientri o no nella classificazione clinica delle complicanze”.

Sulla base di tali autorevoli affermazioni, come si evince nella sopracitata sentenza, “da quanto esposto consegue, sul piano della prova, che nel giudizio di responsabilità tra paziente e medico:

  • o il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta conforme alle leges artis ed allora egli va esente da responsabilità a nulla rilevando che il danno patito del paziente rientri o meno nella categoria delle “complicanze”;
  • ovvero, all’opposto, il medico quella prova non riesce a fornirla.

Quanto sopra affermato dalla Cassazione è dunque di fondamentale importanza al fine di dirimere i concetti di errore e complicanza, con il fine ultimo – sul piano medico legale – di evitare contenziosi inutili e di portare avanti solo casi ove realmente vi siano basi tecniche per procedere.

Tutto quanto detto finora, però, va a braccetto con la consapevolezza che non va dimenticato come spesso il confine fra complicanza ed errore sanitario sia sottile; sbagliare fa inevitabilmente parte dell’attività di ogni medico che sia impegnato nella diagnosi e nella terapia.

Per citare le autorevoli parole di Augusto Murri[7]: “Errare, sì! È una parola che fa spavento al pubblico. Errare a nostre spese? Errare a costo della nostra vita? La meraviglia pare giustissima, l’accusa pare grave! Eppure, o avventurarsi al pericolo d’un errore o rinunziare ai benefizi del sapere. Non c’è altra strada. L’uomo, che non erra, non c’è!


[1] Cassazione Civile n°362 del 21 Gennaio 2000.

[2] Cassazione Civile n°7997 del 18 Aprile 2005.

[3] Cassazione Civile n°24074 del 13 Ottobre 2017.

[4] Cassazione Civile n°20806 del 29 Settembre 2009

[5] Cassazione Civile 13328 del 30 Giugno 2015

[6] Cassazione Civile 12516 del 17 Giugno 2016

[7] Augusto Murri 1841 – 1932, clinico ed autore del Saggio di perizie medico-legali, Zanichelli Editore, 1918.

Di Niccolo Maria Sposimo

Laureato in medicina e chirurgia presso l'Università di Firenze con massimo dei voti e lode. Specializzato in medicina legale presso l'Università di Pisa con massimo dei voti e lode. Medico legale fiduciario per gruppo Allianz SpA e Sara Assicurazioni. Consulente medico regionale Patronato INAS-CISL Toscana. Medico di direzione di IML - Istituto Medico Legale